Loading
La Casa del Melograno

Agropoli

Il toponimo di Agropoli ha origini dal greco-bizantino Akròpolis che significa città alta, posta in alto, dal greco àkros, alto, sommo, e pòlis, città. La scoperta di frammenti preistorici che appartengono rispettivamente ai periodi neolitico del bronzo e prima età del ferro, fa ipotizzare la presenza di popolazioni indigene dedite alla caccia ed alla pesca prima della venuta dei Greci. Prima e dopo la fondazione di Posidonia i greci utilizzarono la baia naturale, ad est del promontorio, alla foce del fiume Testene (anticamente chiamato Foce) per i loro traffici con le popolazioni dei territori vicini. Chiamarono il promontorio Petra, vocabolo greco, ed alla sua sommità costruirono un tempio dedicato a Diana, dea della caccia. In età romana, tra il I sec A. C. ed il V secolo D.C., ad oriente ed a destra del fiume Foce, sorse un borgo marittimo, Ercula, in quanto il porto della vicina Posidonia aveva subito un progressivo processo di insabbiamento a causa di un bradisismo litoraneo. Con la caduta dell’impero romano, orde di vandali, provenienti dall’Africa, travolsero quei territori durante le loro incursioni nelle pianure dell’Italia meridionale. Gli abitanti di Ercula, per sfuggire a tali azioni devastatrici, si rifuggiarono sul promontorio perchè offriva loro maggiore protezione. Alla sommità del promontorio edificarono una Chiesa dedicandola ai SS Apostoli Pietro e Paolo sia per la leggenda che narrava dell’approdo di S. Paolo in questi luoghi, sia per la figura emblematica dell’altro Apostolo, S Pietro, il Pescatore.

La vita quotidiana della popolazione di Agropoli nel XVIII secolo offre un modello di equilibri di auto assistenza molto esigui. Abitata principalmente da pescatori, marinai, contadini, in prevalenza piccoli affittuari, lavoratori a giornata e gualani che vivevano poco al di sopra della miseria. Anche l’agricoltura era ad un livello di pura sussistenza, talora di precarietà, sul quale si elevava di poco qualche famiglia di massaro e di benestante. Al di sopra di tutti spiccano gli ecclesiastici e la figura del feudatario. Nobiltà e clero accentravano nelle propia mani, oltre al potere politico, la maggior parte delle ricchezze. Agropoli, come tutte le piccole comunità del Cilento, viveva una sua storia scandita da una temporalità molto lenta, tra il lavoro, la pratica religiosa, l’intimità della famiglia. La civiltà materiale era regolata da rigide leggi: dominante era la consuetudine, a cui si faceva riferimento per la risoluzione di ogni problema. La Chiesa aveva un dominio incontrastato sulla coscienza individuale e sulla mentalità collettiva, angosciate dalla paura dell’ignoto e dalle forme oscure del male. Tale sentimento si trasformava in terrore difronte alle calamità naturali, alla peste, alle carestie.1 La vita di questa piccola comunità ruotava intorno alla parrocchia, che si trovava al centro del paese e, sul sagrato della chiesa, la gente si raccoglieva, dopo le funzioni religiose, nei giorni di festa, per tenere pubbliche assemblee. Nei giorni di festa, ubbidendo ai precetti della Chiesa, si tralasciava il lavoro per dedicarsi al culto ed al riposo. Le feste erano numerose: nel 1642, il papa Urbano VIII ne fissò trentasei. In pratica si cercava di tenere gli uomini il più lontano possibile dalle osterie, dove spesso l’ubriachezza creava disordini e risse. L’osteria era vista, quindi , come un luogo di peccato e di perdizione e ritenuta l’antiparrocchia.2 Raramente un evento veniva a rompere la monotonia della vita quotidiana: grande curiosità generava tutto quanto veniva da fuori, come il Vescovo in visita pastorale, il nuovo feudatario, le missioni popolari. Queste ultime erano molto richieste dal popolo e appena giungevano in paese, la chiesa si affollava di gente desiderosa di ascoltare i predicatori impressionati anche da una certa spettacolarità allora di moda tra i missionari, fatta di teschi, penitenze, torce e ceri accesi. L’intero paese accorreva alla pratica sacramentale e quando la missione era finita, tutti conservavano per anni il ricordo di quell’evento.3 S. Alfonso dei Liguori avvertì la necessità di tenere con maggiore frequenza le missioni tra le popolazioni rurali. Compose nel 1733 “Il Regolamento delle Missioni” per la Cogregazione degli Irredentisti, proponendosi inoltre, di evangelizzare l’intero Cilento. Il progetto fu realizzato solo in minima parte nel ‘700, perchè solo nel secolo successivo, gli Irredentisti visitarono tutti i paesi del Cilento.

Nel pubblicare nel 1981 un primo scritto organico sulla storia di Agropoli, chi scrive ebbe a rilevare la mancanza fino ad allora di un’indagine analitica sulle strutture fortificate del centro antico, sia cacuminali che perimetrali. Oltre al quel poco detto in quella stessa sede(2) ed a qualche altra indicazione fornita sempre da chi scrive in un articolo del 1990 in riferimento alla fortificazione principale(3) va precisato che a tutt’oggi la questione resta sostanzialmente senza svilupppi. Strettamente correlata al problema della cinta muraria esterna è la questione delle fasi della crescita urbana del centro in età medioevale e moderna, che si presenta di non facile soluzione e certamente non agevolata dalle indicazioni del tutto erronee fornite dai redattori del Piano di recupero(4) del cosiddetto Borgo Medioevale, cioè del centro antico, piano che presenta macroscopiche inesattezze addirittura nel riporto planimetrico degli edifici. Lo scopo del presente lavoro è soprattutto quello di tentare un primo approccio organico alla questione o, almeno, di definire le linee generali del problema dello sviluppo urbano di Agropoli dalle origini al XIX secolo, prendendo in considerazione i dati storici, monumentali, archeologici, geologici, toponomastici e cartografici, senza tralasciare le statistiche degli abitanti e quanti altri elementi possano soccorrerci nella enucleazione de! problema, nella convinzione che le larghe ipotesi di studio che qui verranno prospettate possano servire come percorso di future e più approfondite indagini scientifiche. Va rilevata comunque la carenza, per le età precedenti il XIX secolo, di una qualsivoglia utile indicazione planimetrica circa le dimensioni dell’abitato. L’unica mappa conosciuta, redatta per scopi militari nel marzo del 1807 (v. fig. 4), fu eseguita in scala troppo alta e con grossa approssimazione perché se ne possano trarre dei raffronti veramente proficui, ma riporta in definitiva dati di tale interesse circa la forma e le dimensioni dell’abitato, lo stato dell’impianto difensivo del centro, la presenza di edifici extraurbani, il percorso delle strade, il profilo della costa ed altro, da costituire in ogni caso il termine ante quem per la ricostruzione del processo di evoluzione dell’abitato. Anche la più antica carta dell’lstituto Geografico Militare (IGM relativa al territorio di Agropoli, quella all’1:50.000, costruita su rilevamenti del 1871 ed aggiornata alle ricognizioni del 1908, si presenta con una scala troppo alta per poterne sfruttare appieno la potenzialità(5); pertanto per il riscontro planimetrico con i più antichi ed esatti dati conosciuti si deve far ricorso alla Mappa Catastale del Comune, redatta in iscala 1:10.000 su rilevamenti anteriori al 1928, salvo i successivi aggiornamenti .

Nel 1754 venne compilato ad Agropoli il “Catasto Onciario” da 8 deputati, che furono eletti il 10 marzo 1753 in “pubblico parlamento” dai Magnifici, eletti al “Reggimento dell’Università della città di Agropoli”7. Riguardo a ciò bisogna riferire che il Concordato del 1741 stipulato tra Carlo III ed il Pontefice stabiliva il diritto dei Vescovi ad intervenire , sia direttamente che indirettamente, alla formazione dei catasti.8 In tale concordato, la Cancelleria vescovile di Capaccio, il 28 novembre 1752, indicò come deputati ecclesiastici per la compilazione del catasto di Agropoli il Rev/do Andrea Ventrella, Parroco del paese, ed il Padre Guardiano di San Francesco dei PP. Conventuali di Agropoli, senza però indicarne il nome, non risultando neanche nelle pagine ingiallite del Catasto. Insieme ad essi, operarono anche i Signori: Gregorio Troisi, Onofrio Taddeo, Francesco Casalicchio, tale Vetta (non comprensibile il pronome), Aniello Palomenta e Giuseppe Cavallo. Il Catasto si presenta formato da due grossi volumi di cui uno costituisce gli “Atti preliminari” l’altro quello delle “Rivele” In esso sono registrati i contribuenti oltre ai membri delle singole famiglie. Oltre ad essere iscritti i cittadini che formano “i fuochi” del comune, sono riportati in un elenco a parte tutti i forestieri che vi hanno la residenza o che vi posseggono beni. Un’altra importante distinzione viene fatta tra i laici e gli ecclesiastici: quest’ultime comprendono anche gli Enti e le Istituzioni religiose. I contribuenti sono divisi per categorie e riportati in elenchi diversi. I cittadini residenti devono pagare il “testatico” (solo icapifuoco); un’imposta sul reddito da lavoro (solo i maschi), e la tassa sui beni.

Sono esenti dal “testatico” chi “vive del suo” e i nobili. Le vedove e le vergini sono accatastate in elenchi separati se costituiscono i capifuoco. Esse sono esente dal testatico e dell’imposta sul lavoro, sono, invece, tenute a pagare la tassa sui beni se il reddito supera i sei ducati. Gli ecclesiastici secolari cittadini, costituiscono una categoria a parte, perché, della loro rendita, viene riportata quella parte che non rientra nei limiti fissati dalla Diocesi, entro cui il patrimonio sacro è esente da tasse. I forestieri abitanti laici, sono tenuti al pagamento della tassa sui beni ed un “jus Habitazionis” di 15 Carlini. In questo elenco è iscritto il feudatario Delli Monti Sanfelice Girolamo. I forestieri non abitanti laici, devono pagare la tassa sui beni che possiedono nella città (sono iscritti con il nome di “bonatenenti”). La distinzione tra forestieri e residenti risponde anche ad un’altro presupposto, che cioè i cittadini sono tenuti a pagare i contributi comunali, che sono di 54 carlini , oltre i 192 carlini per ogni fuoco, necessari a coprire le spese locali; mentre i forestieri ne erano esenti perché non hanno alcun vantaggio diretto dai servizi locali. Naturalmente i forestieri abitanti, godendo dei benefici dei servizi comunali, devono pagare lo “jus Habitazionis” Un’altra distinzione che risulta è tra i contribuenti che “vivono del propio” ed esercitano professioni nobili e quelli che invece vendono il propio lavoro (i bracciali) e coloro che esercitano i lavori manuali che sono tenuti a pagare non solo la tassa sul salario ma anche il “testatico”. I beni denunciati dai contribuenti sono i beni immobili. Essi sono territori, case, vigne, molini ed anche animali. Su quest’ultimi però il reddito imponibile si riduce del 50% su quello dichiarato perché essi sono soggetti alla mortalità. La rendita dei beni è espressa in ducati e carlini, per poi essere tradotta in once.

Agropoli ultima modifica: 2016-08-21T17:24:21+00:00 da La Casa del Melograno
TAGS

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *